Lo scenario di riferimento

In un tempo breve abbiamo assistito al passaggio da una situazione di relativa stabilità in cui il rischio e l’incertezza costituivano un’eventualità possibile alla presenza pervasiva di queste condizioni nelle nostre vite. Queste sono le cifre distintive del nuovo secolo. Già Morin (2018) ci invitava a dialogare con l’incertezza, Bauman (2011) a fare i conti con una società liquida, Benasayag (2019) a risettarci su un’idea di futuro che muta la propria connotazione da promessa in minaccia. 

Sempre più ci stiamo rendendo conto di come la complessità e l’incertezza facciano sfumare l’illusione di prevedibilità sulla quale facevamo affidamento e comprendiamo che è necessario attingere ad un nuovo repertorio di risorse che chiamano in gioco la flessibilità, la duttilità al cambiamento, l’attitudine al problem solving, la resilienza, la creatività. 

Cosa ci aspetta? Probabilmente non un solo futuro, e quindi non soltanto un percorso sicuro e battuto verso il quale incamminarsi. In un mondo che ha dimostrato di sapere cambiare molto rapidamente e che ci coglie spesso impreparati, l’educazione non può fare affidamento solo su quanto appreso dal passato per prepararsi alle sfide dell’ignoto. Il successo delle nostre società, afferma l’OCSE in “Back to the future” (2020), dipende da quanto efficacemente saremo in grado di usare la conoscenza che produciamo per anticipare il futuro e da quanto velocemente sapremo agire per dargli forma. Su queste premesse nel Settembre 2020, l’OCSE ha pubblicato un contributo dal titolo suggestivo “Ritorno al futuro dell’educazione: quattro scenari OCSE per la scuola” nel quale ha cercato di immaginare quali scenari potranno dischiudersi nel prossimo futuro della scuola, in una linea che va dal più conservativo a quello più destabilizzante. Si parla di “scuola espansa” (schooling extended), “istruzione esternalizzata” (education outsourced), scuole come “centri di apprendimento” (learning hub) e scuola “ubiqua” (learn as you go) (fig.1).

Fig.1: I quattro scenari per la scuola post-Covid enucleati dall’OCSE (fonte: OECD, 2020)

Anche l’Unesco ci invita ad assumere una postura proiettiva, spostando l’inclinazione dal “learning to be” al “learning to become”, ovvero da un essere ad un divenire

Alla luce di queste considerazioni di scenario ci siamo chiesti quale idea di scuola possa resistere alle insidie della fluidità mantenendo salde le proprie dimensioni valoriali e culturali e rispondendo efficacemente alle sfide del XXI secolo. Nel cercare di fornire una (o più risposte), si è avvertita la necessità di invocare la chiave di lettura della flessibilità intesa come capacità di rendere resilienti e flessibili organizzazioni complesse e articolate come quelle scolastiche. Anche Baricco, nella sue “Sette mosse per la scuola” (2021) dedica una “mossa” proprio a questa caratteristica: «(…) non ho dubbi che dobbiamo andare nella direzione di un modello che deve essere flessibile e aggiornabile in velocità. Attualmente la scuola è una struttura troppo rigida, monolitica e marmorea (…). La nostra utopia è stata quella di creare una scuola uguale per tutti. Quando tu cerchi di fare una cosa uguale per tutti sei spacciato, in un mondo come il nostro. Oggi vincono quelle strutture che sono in grado di aggiornarsi rapidamente». 

Dalla scuola all’ambiente di apprendimento

Nella società della conoscenza, la scuola impone di confrontarsi con competenze diverse da quelle richieste dalla società industriale, pena una pericolosa distanza fra il mondo della formazione e le pratiche sociali delle nuove generazioni. Per molto tempo l’aula è stata il luogo principale dell’istruzione scolastica; gli altri spazi erano strumentali o accessori alla sua centralità: ogni luogo della scuola era pensato per un impiego specifico e restava inutilizzato quando non veniva svolto quel tipo di attività a esso destinata. L’utilizzo dei corridoi dove si spostavano i docenti e gli alunni, la palestra o il laboratorio con attrezzature era previsto in momenti definiti e lontani dalla didattica quotidiana. Oggi sorge la necessità di vedere la scuola come uno spazio unico e integrato in cui i vari microambienti, finalizzati a scopi diversificati, hanno la stessa dignità e risultano flessibili, abitabili e in grado di accogliere in ogni momento le persone. Si tratta di spazi che presentano un adeguato livello di funzionalità, comfort e benessere per realizzare le molteplici attività della scuola.

Per accompagnare il processo di innovazione tra pedagogia e architettura, è importante analizzare e studiare soluzioni architettoniche, arredi e strumenti di lavoro correlati alle metodologie didattiche.

Lo spazio scolastico come parte essenziale del setting educativo, il dialogo architettura-pedagogia, la partecipazione della comunità-scuola alla progettazione e alla strutturazione degli spazi, sono alcuni dei temi centrali del progetto Prin Prosa (Prototipi di Scuole da Abitare). Questa iniziativa, coordinata dallo IUAV di Venezia, vede la partecipazione di altre 5 unità di ricerca: l’Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli, il Politecnico di Milano, l’Università degli Studi di Sassari, l’Università Politecnica delle Marche e Indire.

ProSA, abitare le scuole: atlanti tematici

Per rispondere all’interrogativo sulle sfide del XXI secolo a cui deve far fronte la scuola italiana, come architetti di cinque università italiane insieme a Indire, abbiamo costruito questa ricerca che inizia richiamando la prospettiva abitativa (dwelling perspective) in alternativa alla prospettiva costruttiva (building perspective) con esplicito riferimento al pensiero dell’antropologo scozzese Tim Ingold (2000), consapevoli che la scuola italiana nel corso del Novecento ha avuto un ruolo attivo nella costruzione del secolo del bambino secondo la nota definizione di Ellen Key, intrecciando l’opera e il pensiero di fondamentali pedagogisti a programmi di architettura per le scuole anche nei periodi della dittatura fascista, con cui, viceversa, l’Italia ha tristemente fornito il fianco all’altra definizione del Novecento come secolo breve della violenza (Hobsbawn, 1994), e chiudendo la fine di questo con l’abbandono e l’incuria di quel patrimonio di sforzi e di opere depositate sul territorio dedicato alla formazione degli italiani, mentre avveniva la transizione verso la modernità liquida (Bauman 2000). 

L’incuria di questo patrimonio costruito di scuole è un aspetto sul quale, in particolare, la ricerca ha appuntato la sua attenzione non solo perché denota il sintomo della incrinatura nel patto tra le generazioni, ma anche perché rivela un gap di cultura ecologica, resa ancora più evidente dal deflagrare della pandemia nella quale ancora ci muoviamo. La grande accelerazione applicata alla scuola attraverso l’uso dello strumento innovativo della didattica a distanza (DAD), infatti, accanto all’indiscusso merito di aver dato continuità alla vita formativa dei nostri ragazzi, in qualche modo ha reso più evidente tanto le differenze sociali, quanto la forma di un malinteso individualismo nell’approccio allo strumento e una sorta di elaborazione passiva dei contenuti, oltre al notevole aumento dei disagi psicologici (CNOP, 2021). Questi aspetti sovrapposti alla precarietà del patrimonio dell’architettura per la scuola, alla labilità degli spazi aperti o alla angustia di quelli interni, enucleabili anche dalle recenti analisi OCSE in cui si palesa come gli investimenti sull’Edilizia scolastica in Italia siano attualmente sette punti percentuali al di sotto del resto d’Europa, mostrano l’urgenza di una riflessione sulla scuola che ripristini un dialogo efficace tra pedagogia e architettura. La ricerca guarda, in altre parole per la prima volta in Italia in un contesto universitario, contemporaneamente, al patrimonio costruito e a chi lo abita e, prendendo atto della complessità di entrambi gli aspetti architettonico-costruttivi e pedagogico-didattici, costruisce un dialogo a partire da numerosi temi (architetture scolastiche e… identità dei luoghi, modelli d’autore, città, paesaggi, società, pedagogia e avanguardie didattiche, innovazione, interni, valutazioni economiche, legislazione, istituzioni) e numerosi atlanti tematici che restituiscono una geografia molto particolare dell’Italia. Se infatti la distribuzione geografica delle architetture scolastiche ricalca alla macroscala le relazioni note e le differenze tra aree a forte densità urbana e aree interne, tra nord e sud Italia, come è stato ben messo in risalto dal recente “Rapporto sull’edilizia scolastica” della Fondazione Agnelli ( 2020) ciò che attraverso gli atlanti tematici si intende rilevare è una conoscenza più analitica che superi l’analisi dello stato strutturale/impiantistico delle costruzioni viste come dati statistici e registri la qualità intrinseca dei manufatti e delle occasioni reali di trasformazione in un’ottica come quella delineata dagli scenari Ocse. Per questo alcuni atlanti tematici sono partiti ponendo al centro di ciascuna mappa una scuola o un sistema di scuole, al fine di rileggere il territorio in cui essa o il sistema è insediato e delineare una rete di relazioni forti tra questo e il suo ambiente “ecologico” di prossimità. Ciò che come architetti, in altre parole, abbiamo recepito, grazie al confronto con i colleghi sociologi e pedagogisti, è che ogni scuola è un prototipo e dunque i carotaggi per descrivere le situazioni di contesto utili ai fini della ricerca, vanno fatti in modo puntuale. Costruire mappe per questi atlanti tematici consente di disegnare le “ragnatele” che trattengono parti di città da interpretare nel progetto di recupero architettonico e urbano delle scuole quali luoghi di apprendimento che amplino il mero confine dell’edificio scolastico. In analogia con le letture fenomenologiche di Lynch (The image of the city, 1960), e con quelle di Venturi, Izenour e Scott Brown per Las Vegas (1972), i primi atlanti, redatti nel corso della prima clausura dovuta alla pandemia, sono frutto di una investigazione con studenti di architettura del I anno a cui è stato richiesto, di rappresentare una delle scuole che hanno frequentato, dapprima con una visione zenitale e poi attraverso dei collage riferiti ad un luogo e una emozione significativa della loro esperienza scolastica. 

Fig.2 pagina dell’ Atlante “scuole italiane e contesti investigati dagli studenti” (fonte Prosa-Iuav)
Fig.3 pagina di Atlante “lo spazio della scuola visto dagli studenti” (fonte Prosa-Iuav)

In questo modo per ciascuna delle ventotto scuole italiane prese in esame è stato possibile incrociare tutto ciò che sta intorno alla scuola e che sottolinea la presenza di emergenze monumentali, di parchi, luoghi del tempo libero e dello spettacolo, segni d’acqua e infrastrutture verdi o di asfalto, con i modi in cui dall’interno gli studenti abitano o hanno abitato l’aula e gli spazi di collegamento e interstiziali della scuola. Sebbene si tratti di atlanti ancora molto fenomenologici, è possibile comprendere, proprio attraverso queste restituzioni, che l’attesa, l’ingresso, il luogo della ricreazione e del tempo libero definiscono l’identità della scuola molto più dell’aula in se stessa; questi momenti, che il più delle volte rientrano in modo tangenziale nel progetto cartesiano di una scuola, assumono una dimensione e una scala del tutto nuova in queste rappresentazioni. Le città appaiono uno sfondo a volte lontano, ma presente; scale, giardini, campi, corti, gallerie e portici, assumono, viceversa, un ruolo di primo piano nella rappresentazione delle architetture scolastiche, mentre l’aula posta su un lato dell’immagine o trasfigurata da preziose pareti di marmo verde si apre verso l’esterno. A questo primo approccio ricavabile dagli atlanti “fenomenologici”, la ricerca ne affianca altri desunti da fonti archivistiche come quelle dei comuni, di alcune aziende di materiali da costruzione o di studi d’architettura, oppure ne costruisce altri frutto di aspetti specifici della scuola contemporanea italiana e delle architetture che la accolgono. 

Così accanto all’atlante che racconta le scuole ordinarie di una regione del sud Italia, la Campania, come “prototipi di spazi collettivi” rintracciando un repertorio originale di sperimentazioni e innovazioni, ve ne sono altri che raccontano la scuola italiana d’autore a partire da i cosiddetti “architetti condotti”, ossia quegli architetti che dall’interno degli uffici tecnici, hanno prodotto una casistica articolata di scuole anche sulla base di uno stringente dialogo con i pedagogisti, come nel caso di Arrigo Arrighetti a Milano, oppure come quello delle scuole Valdadige, progettate e costruite subito dopo l’emanazione delle norme edilizie scolastiche del 1975, di cui gli architetti Gino Valle e Giorgio Macola forniscono una illuminata interpretazione. Un altro Atlante in cui Architettura e Pedagogia stanno svolgendo un lavoro che si radica su premesse condivise, riguarda “le piccole scuole con pluriclassi nei piccoli comuni del Veneto” in cui la ricerca propone, da un lato, una lettura della dimensione sia architettonica che territoriale di tale patrimonio dal forte valore strategico e identitario – specie nei territori fragili e dalle forti marginalità – e dall’altro, individuando potenzialità e criticità degli edifici presi in esame, traccia alcune possibili linee di intervento programmatico, estendibili alla definizione di un progetto di riqualificazione funzionale e spaziale degli edifici scolastici esistenti, in risposta ad un’idea contemporanea di scuola. 

Fig. 4 pagina dell’Atlante “scuole come prototipi di spazio collettivo” (fonte Prosa – Università Vanvitelli)
Fig. 5 pagina dell’Atlante “le scuole degli architetti condotti” (fonte Prosa – Politecnico di Milano)
Fig. 6 pagina dell’Atlante “le scuole Valdadige” (fonte Prosa – Iuav)
Fig. 7 pagina dell’Atlante “le piccole scuole con pluriclassi del Veneto” (fonte Prosa – Iuav)

Di fronte ad un patrimonio costruito e molto trascurato di quarantamila scuole riconducibili a ottomila istituti scolastici di ogni ordine e grado, l’obiettivo di questi atlanti tematici è di istruire le premesse per una selezione condivisa delle scuole esistenti su cui intervenire e per discernere i casi in cui essa va ripensata come piattaforma culturale e sociale, come architettura confortevole per chi la abita oggi e nel prossimo futuro ma anche come architettura disposta ad accogliere metodi e strumenti educativi innovativi, nel medio e nel lungo termine, nonché come straordinario dispositivo di riqualificazione dei contesti urbani e come elemento simbolico del paesaggio costruito ma anche per il contributo che, attraverso l’educazione, fornisce alla trasformazione della identità dei luoghi. Come architetti siamo infatti convinti che è da questo genere di letture che può scaturire la più ampia possibilità di trasformazione del patrimonio ordinario di edilizia scolastica in occasione di architettura (extra)ordinaria. Sembra a chi scrive, in altre parole, che per rispondere alle domande su chi abiterà le scuole, costruite fisicamente e metaforicamente nel corso del novecento in Italia, o su quale architettura richiedono le scuole del XXI secolo, sia fondamentale conoscere questo patrimonio superando alcuni luoghi comuni, approcci ingenui o sbrigativi, infine portando all’attenzione di un pubblico più vasto di esperti intorno al mondo scolastico quanto di interessante si può scoprire in questo patrimonio dal punto di vista dell’architettura e della sua bellezza troppo a lungo nascosta da una malintesa od omessa pratica della manutenzione. Altre questioni per cui questa ricerca sulla scuola è per noi architetti importante, sono più interne alla disciplina, e al contributo che può fornire ad alcune scelte strategiche del nostro paese, e comportano la necessità di rifondare il senso di un mestiere che è anche un’arte. Per questo, alla luce di un gap finalmente colmabile grazie ai promessi fondi del PNRR paragonabili al piano Marshall nell’immediato II dopoguerra e grazie a questo picco di interesse rivelato anche dalla politica, occuparsi oggi della scuola, tipologia debole dal punto di vista architettonico, ma strategica per lo sviluppo del paese, è sforzo e atto dovuto da parte dell’Università italiana.

Di Fernanda De Maio, IUAV ed Elena Mosa, Indire


Bibliografia

Bauman, Z., Modernità liquida, Laterza, Bari, 2011
Benasayag, M., Bencivenga, E., Asmin, A., Patel, R., Pickett, K., Correa, R., Le conseguenze del futuro. Sei dimensioni di cambiamento, sei voci di futuro declinate al presente, Feltrinelli, Milano, 2019
CNOP indagine sugli effetti della DAD, Audizione al Senato della Repubblica Italiana, 2.2.2021
Fondazione Agnelli, Rapporto sull’edilizia scolastica, Laterza 2020
Hobsbawm, E.J., Il secolo breve, Rizzoli, 2000
Key, E., Il secolo del bambino, Junior, 2019
Ingold, T., The Perception of the Environment, Routledge, 2006
Lynch, K., The image of the city, Mit Press, 1960
Morin, E., Conoscenza, ignoranza, mistero. Raffaello Cortina, Milano, 2018
Morin, E., I sette saperi necessari all’educazione del futuro. Raffaello Cortina, Milano, 2001
OECD, Back to the Future of Education: Four OECD Scenarios for Schooling, Educational Research and Innovation, OECD Publishing, Paris, 2020
Venturi, R., Izenour, S., Scott Brown, D., Learning from Las Vegas, Mit Press, 1972

Sitografia

Baricco, A., 2021, Sette mosse per la scuola del futuro. Lezione aperta con Alessandro Baricco. Accessibile dal Canale Youtube Indire: https://www.youtube.com/watch?v=NIq4jt7rJY0
Architetture scolastiche Indire: https://architetturescolastiche.indire.it/ 
Progetto Prin Prosa: https://prosascuoledabitare.eu/ 

(Foto archivio architetture scolastiche)

Atlanti tematici che raccontano le scuole, per analizzare e studiare soluzioni architettoniche, arredi e strumenti di lavoro correlati alle metodologie didattiche, con il fine di accompagnare il processo di innovazione tra pedagogia e architettura

Tipologia: Articolo

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Scuole
Spazi collettivi