Il tema dell’edilizia scolastica torna spesso all’attenzione di insegnanti e genitori per motivi che riguardano eventi luttuosi o inaugurazioni di edifici di nuova costruzione. Negli ultimi mesi però il tema ha acquisito una ulteriore sfumatura che riguarda la sensibilizzazione delle scuole al tema dello spazio legato ai modelli di apprendimento. L’urgenza è quella di affrontarlo non solo dal punto di vista dei metri quadrati di un’aula o della quantità di alunni che questa può contenere ma anche per la funzione che lo spazio didattico può avere nella sfera affettiva, sociale e cognitiva di uno studente, di qualunque età.
In principio, fu Loris Malaguzzi che attribuì allo spazio il ruolo di “terzo insegnante”. Certo, il modello di scuola che immaginava il maestro di Reggio Emilia è specificatamente indirizzato alla scuola dell’infanzia. Un modello di ambiente di apprendimento, quindi, che richiede uno spazio che sia “elemento di qualità pedagogica” funzionale al raggiungimento di obiettivi didattici previsti dalle indicazioni nazionali per il curricolo.
Ma il concetto di spazio come luogo affettivo, portatore di valori e funzionale all’apprendimento, è stato utilizzato in un workshop di progettazione partecipata a cui hanno preso parte studenti e architetti, docenti e dirigenti scolastici. L’attività di progettazione è partita dal concetto di spazio come “costruzione di un testo poetico” [1]. La comparazione dei modelli spaziali ai modelli della poesia si può interpretare in diversi modi e l’interpretazione va oltre le singole parole.
Si tratta, in generale, più di un problema di “modelli” che esprimono alcuni principi di design e che consentono di spostare il focus dalla struttura dell’edificio alla vita che questo genera all’interno dello spazio, e cioè la vita affettiva. In quest’ottica, l’ambiente di apprendimento diventa un testo che genera dei modelli (pattern) sempre diversi. Lo spazio diventa un luogo con un valore legato a significati sociali, alle convenzioni culturali, ai ruoli dei suoi abitanti, alle funzioni e alla natura dello stesso [2].
Il senso del luogo trasforma lo spazio fisico che viene organizzato a seconda degli usi e delle interazioni, e ciò rende vera l’espressione di Dourish secondo cui siamo collocati in un luogo ma agiamo in uno spazio. Il nostro agire in uno spazio esprime conoscenza che si trasmette nel modo in cui ci muoviamo nello stesso.
Un ulteriore supporto rispetto alla possibilità di costruire conoscenza in un luogo ci viene dall’architetto Chastain [3], secondo cui tre sono le forme di conoscenza che ci aiutano a creare un luogo: i sensi, l’uso delle cose attraverso le azioni e la comunicazione. Il primo tipo di conoscenza si acquisisce attraverso l’interazione con i fenomeni di un luogo, con l’uso dei sensi. Il secondo tipo di conoscenza è il modo in cui un luogo supporta la vita di una cultura, ed infine il terzo tipo di conoscenza riguarda l’articolazione di un luogo. Quest’ultimo aspetto, infatti, è espressione della memoria collettiva, ed è funzionale non tanto alla preservazione fisica di un luogo ma alla conservazione della sua conoscenza.
Se lo spazio ha così tante proprietà, in altri termini affordance, in che misura gli ambienti di apprendimento contribuiscono a migliorare l’aspetto cognitivo, affettivo e sociale dell’apprendimento di uno studente? Quanto gli ambienti innovativi possono contribuire a cambiare le pratiche pedagogiche?
Se affrontiamo il tema dello spazio dal punto di vista degli studenti, e dei docenti, ci si chiede come i soggetti interessati usano questi spazi ed, in particolare, gli spazi innovativi? E le scuole sono pronte alla transizione a questo tipo di ambienti? Le pratiche didattiche innovative sono state consolidate e valutate per la loro efficacia in questi nuovi ambienti di apprendimento?
Di recente l’OCSE [4] ha pubblicato uno studio che analizza l’efficacia degli ambienti di apprendimento, l’Innovative Learning Environment. Le conclusioni di questo studio identificano alcuni aspetti essenziali dell’apprendimento tra cui gli aspetti sociali e collaborativi; la motivazione dello studente, la valorizzazione delle differenze individuali; l’uso del feedback formativo; la promozione di attività formative sia dentro che fuori dalla scuola. L’ambiente di apprendimento diventa uno degli strumenti chiave per favorire i processi sopra descritti e di conseguenza dovrebbe configurarsi come uno spazio flessibile e in grado di rispondere alle necessità degli utenti (studenti e docenti). L’attuazione delle diverse strategie didattiche in uno spazio flessibile può fornire agli studenti l’opportunità di un coinvolgimento con il mondo reale, la possibilità di imparare utilizzando compiti autentici e con un approccio basato sul problem solving e una costante collaborazione tra pari.
In questo scenario, l’ambiente di apprendimento, coniugato a spazi connotati affettivamente, genera dei modelli di spazio sempre diversi.
Un esempio interessante, che va in questa direzione, è stato attuato in Australia con il programma BER (Building the Education Revolution 2009-2011, con uno stanziamento di 14.1 bilioni di sterline australiane) che aveva l’obiettivo di costruire scuole nuove o ristrutturare scuole esistenti dotandole di biblioteche e di ambienti multifunzionali, come laboratori linguistici, e creare ambienti di apprendimento intorno alla scuola per l’intera comunità. Lo studio che ha preceduto la realizzazione del programma, condotto dal prof. Kehn Fisher, è partito da alcune domande che sottendono la progettazione degli spazi e che riguardano prevalentemente aspetti legati all’apprendimento (quali competenze devono raggiungere gli studenti?, come valutare queste competenze? e infine, quali approcci pedagogici?) e su cui costruire ambienti di apprendimenti efficaci.
Oltre agli aspetti relativi all’apprendimento sono stati presi in considerazione alcuni fattori di analisi legati al curricolo, e cioè come un ambiente di apprendimento può essere funzionale alla fase di produzione? O essere promotore dell’indipendenza e della motivazione dello studente? Gli studenti sono coinvolti in percorsi di “critical thinking”? Quali pratiche di valutazione sono applicate? Quali attività sono connesse alla comunità esterna alla scuola?
Nell’ambito di questa cornice, che da una parte è legata ai processi di apprendimento e dall’altra al curricolo di riferimento, sono stati identificati 5 ambienti a partire dalle attività che possono essere svolte all’interno degli stessi: l’individual setting, il group setting, l’activity rich setting, l’informal learning setting e lo staff setting.
Per ognuno dei cinque spazi è possibile identificare ulteriori modulazioni che consentono allo studente e all’insegnante di praticare modelli metodologici diversi.
Così lo spazio di apprendimento, sia a scuola che a casa, diventa un learning hub.
Una modelizzazione su questa linea è stata fatta anche dagli architetti Nair e Fielding [5] che, nella loro pubblicazione The Language of School Design: Design Patterns for 21st Century Schools, hanno effettuato una “modellizzazione” divisa in sei macro categorie (Parts of the Whole, Spatial Quality, Brain-Based, High Performance, Community Connected, Higher Order) a ciascuna delle quali corrisponde una serie di spazi connotati in base alle funzioni didattiche.
Tra i sottoinsiemi non manca la “Classe tradizionale” (definita “Cells and Bells” a causa di un numero predeterminato di studenti che costituiscono il gruppo di lavoro e che fanno la stessa cosa nello stesso momento e nello stesso modo per diverse ore!). Il “Learn Studio”, di origine non recente (è del 1940 la scuola Crow Island in Winnetka, Illinois – US), ha la forma di una L.
Lo spazio irregolare di una classe che ha questa forma offre la possibilità di creare zone flessibili per l’apprendimento in gruppo. L’aggregazione di più “Learning Studio” crea uno spazio definito da Nair e Fielding “Learning Suite”. Ognuno di questi due spazi è dotato di accesso indipendente e anche di un uscita verso l’esterno.
La separazione tra i due spazi può essere realizzata con pareti mobili e/o elementi di arredo. Uno degli aspetti centrali della modellizzazione proposta dai due esperti riguarda gli spazi comuni agli studenti, le cosiddette “Learning Community”, che vengono collocate in una zona centrale della scuola, raccordo con le Learning Suite/Learning Studio.
Un altro modello di spazio che riguarda il lavoro individuale dello studente è la “Cave”. In teoria, questo tipo di spazio potrebbe essere identificato con la biblioteca, che però nella sua realizzazione segue delle linee che rispecchiano prevalentemente un’organizzazione tipica dell’adulto, uno spazio silenzioso e con arredi fissi e spesso ritenuti scomodi dagli studenti.
Un’ ulteriore modalità per procedere alla definizione di modelli dell’ambiente di apprendimento viene da una sperimentazione condotta in Finlandia nel progetto INNOSchool. Il progetto si innesta in un contesto ampio di sperimentazione che parte dalla scuola (Innoschool) e che si estende agli spazi architettonici (Innoarch), agli spazi ludici (Innoplay) e ai servizi offerti dalla scuola ai giovani (Innoserve), trasformando così lo spazio di apprendimento in un luogo di apprendimento permanente.
Per la nostra riflessione prenderemo in considerazione il lavoro di Innoarch. Dal workshop di progettazione partecipata sono stati identificati 5 tipologie, cluster di spazi che secondo il gruppo di lavoro dovrebbero essere presenti all’interno dello stesso edificio scolastico. Occorre qui fare una precisazione rispetto alle precedenti modellizzazioni, discusse sopra, e riguarda la differenza tra pattern e cluster. I pattern sono riferiti a modelli di un singolo spazio, il cluster invece riguarda il modello di scuola che comprende diversi spazi. Il modello Piazza è considerato il cuore della scuola, in cui si radunano gli studenti per attività di tipo collettivo. L’altro spazio emerso dal gruppo di lavoro è la tipologia basata sul Giardino Pensile (Roof Garden), che prefigura un modello di scuola più orientato a valorizzare gli spazi informali, gli spazi esterni e quelli dedicati ad attività ricreative. Una terza tipologia riguarda un modello di scuola centrato sulla Stoà, nome di origine greca che descrive un modello architettonico caratterizzato da portici, elementi di connessioni con lo spazio esterno reso visibile da pareti vetrate che consentono ad aria e luce di abbondare negli spazi di apprendimento. Il modello basato su Serie di Atri (Series of Atrium) è formato da una serie di corti, aperte su un lato, che possono essere progettate in forma aggregata, creando spazi indipendenti e flessibili. Infine, l’ultimo cluster definito Heart, Bridge&Cluster corrisponde ai luoghi di transito, che si identificano con punti di raccordo con gli spazi centrali, tipicamente l’ingresso, la caffetteria, la biblioteca o altri spazi di incontro. L’approccio basato su cluster prevede una progettazione sistemica che parta dal modello organizzativo – pedagogico della scuola. I modelli basati su pattern invece sono più legati agli spazi di apprendimento che costituiscono la scuola.
A partire da queste domande l’Istituto Indire ha articolato la sua ricerca sul tema, imboccando strade diverse. Da una parte, è stata avviata una ricerca di tipo osservativo sugli edifici scolastici innovativi realizzati in Europa, che ha dato vita anche al convegno Quando lo spazio insegna; contemporaneamente è stato intrapreso un lavoro di analisi dei modelli pedagogici, per la progettazione di linee guida in materia di edilizia scolastica. Infine, dopo aver identificato alcuni spazi paradigmatici, sono stati realizzati – durante la manifestazione ABCD Scuola di Genova, nell’edizione del 2012 – cinque spazi, identificati come modelli significativi di ambienti di apprendimento. In seguito, alcune scuole hanno interpretato questa proposta, secondo le loro disponibilità.
Il dibattito è aperto!
[1] Christopher Alexander, A pattern language, Center for Enviromental structure, Berkeley California, 1977. Disponibile qui
[2] Steve Harrison, Paul Dourish, Re-placing Space, the roles of places and spaces in collaborative system, Xerox Palo Alto Research Center, Cambridge Lab., EuroPARC, 1996
[3]Thomas Chastain, “Forming place informing practice”, Volume 12, Number 3, Places Journal, College of Environmental Design, UC Berkeley, 1999. In parte disponibile qui
[4] Vedi, Designing for Education: Compendium of Exemplary Educational Facilities 2011
[5] Prakash Nair, Randall Fielding and Dr. Jeffery Lackney, The Language of School Design: Design Patterns for 21st Century Schools, Designshare, Inc., Minneapolis, MN, 2nd edition, May 1, 2005. In parte disponibile qui
Foto Scuola Galileo Galilei – Reggio Children Approach (credit G. Moscato)
Dalla struttura dell’edificio alla vita che questo genera
Tipologia: Articolo