Questo percorso vede una raccolta di casi di studio inerenti la progettazione di nuovi ambienti scolastici e nuove scuole in cui emerge il legame tra pedagogia e architettura.
La progettazione degli ambienti scolastici con i relativi spazi e le proprie funzioni educative che ne risulta cerca di essere rispondente in primo luogo alla visione pedagogica specifica della scuola che li contiene.
Hellerup: la scuola senza banchi
La scuola di Hellerup è costruita a un passo dal mare. Dalle finestre si può vedere il porto industriale di Copenaghen. La scuola, costruita nel 2003, nasce come proposta molto innovativa: disegnare un nuovo spazio di apprendimento per gli alunni del comune di Hellerup che dovranno frequentare la Folkeskole (scuola a ciclo unico che accoglie alunni dai 6 ai 16 anni).
La scuola viene progettata con la partecipazione di esperti e degli stessi ”utenti” del servizio scolastico: architetti, pedagogisti, rappresentanti delle istituzioni locali, ma anche dirigenti scolastici, docenti e famiglie.
Gli alunni al centro dello spazio
Il nuovo ambiente di apprendimento vede gli alunni al centro dello spazio, liberando la scuola dai retaggi del modello tradizionale della scuola di massa. Nel nuovo spazio non c’è l’aula-classe, intesa come un microcosmo chiuso, fatto di convenzioni e meccanismi consolidati. Così non c’è posto neanche per il banco, inteso come tavolo su cui scrivere e leggere soltanto per confezionare saperi di breve durata, che si disperdono dopo le interrogazioni.
Attraverso una serie reiterata di workshop partecipativi, in cui partecipano tutti gli ”attori” coinvolti, il modello prende forma: grandi spazi aperti personalizzabili con arredi flessibili utilizzabili per creare ambienti per il lavoro di gruppo o individualizzato e per la condivisione tra gruppi diversi della stessa ”classe”. Già perchè la classe (resta, intesa come gruppo di alunni della stessa età) lavora in contaminazione con i gruppi di età contigui e con ampi momenti di verticalità. I docenti specializzati nell’insegnamento delle discipline sono affiancati dalla figura del pedagogista. Si cerca in questo modo di osservare e valutare le fasi dello sviluppo dell’alunno per predisporre un’azione educativa e didattica adeguata.
Un team di docenti disciplinaristi e pedagogisti segue tre classi di età contigue nei primi anni della Folkskole, quando si tratta di seguire in modo più attento e continuo i passi dello sviluppo del bambino. Negli ultimi anni gli alunni avranno acquisito maggiore responsabilità e capacità collaborativa e il modello cambia in funzione dell’autonomia via via raggiunta dall’alunno.
A scuola come a casa
La scuola è fatta di “case” interne. Gruppi di alunni di tre “classi” di età contigue condividono una casa con una propria cucina, aree per il relax con grandi cuscini, tavoli e zone per il lavoro individuale e di gruppo. La “home-base” è una area esagonale non molto grande, quanto basta affinchè il docente e il suo gruppo-classe possano incontrarsi e sedersi informalmente sui gradoni dell’esagono per condividere le indicazioni del lavoro da svolgere, i dubbi, i momenti di sintesi e la condivisione dei percorsi. Accanto alle case in cui trovano dimora più gruppi classe esistono degli spazi unici per tutti gli alunni. È il caso dal Kulturium, un grande atelier a disposizione di alunni e docenti, delle aree laboratori ali (l’Opus come atelier musicale, il laboratorio con attrezzature e strumentazioni specialistiche o il Naturium per le lezioni di fisica, chimica e biologia) o ancora dell’Universum. L’Universum è l’area della conoscenza, dove gli alunni possono attingere a fonti informative di ogni tipo: biblioteca, Internet e altre risorse che possono risultare utili per il percorso di studio. Dunque si tratta di una struttura a incastro che combina le ”case” degli alunni con macroaree uniche di riferimento e aree riservate ai docenti e alla loro attività di progettazione e condivisione. L’area riservata ai docenti e ai pedagogisti è contigua agli spazi in cui lavorano gli alunni, nell’ottica della presenza e vicinanza continua, dotata degli strumenti di lavoro necessari ai docenti ed è adiacente alle aree in cui lavorano i ragazzi.
Lo spazio al servizio della didattica
Gli spazi sono flessibili e una grande scala attraversa in verticale i piani della scuola. Anche le scale non sono scale, sono considerate parte dello spazio abitabile dove i ragazzi possono incontrarsi, sedersi, confrontarsi con i compagni e con i docenti. I computer sono sistemati in gruppi formati da 4 o 5 unità. Lo spazio è organizzato per essere aperto e modificato in qualsiasi momento. L’arredamento modulare serve a creare contesti diversi e appropriati. Si può allestire un piccolo teatro o un finto set di uno studio televisivo.
Individualizzazione e collaborazione sono le parole chiave del modello pedagogico-didattico. Ciascun alunno ha un proprio piano di studi, aggiornato di comune accordo tra docente e ragazzo: il docente discute con l’alunno degli obiettivi da raggiungere, dei progressi fatti e di come continuare in un percorso di crescita continua. Gli alunni hanno poi un proprio portfolio che raccoglie i lavori fatti costruendo passo dopo passo il percorso di avanzamento di ciascuno. I momenti di spiegazione frontale non sono omnicomprensivi: la mattina il docente si riunisce con il suo gruppo di alunni nella ”home-base” per circa venti minuti per riepilogare lo stato di avanzamento e concordare le attività da svolgere nelle ore successive. Dopo il momento di plenaria i ragazzi escono dall’esagono e cercano un’area ad hoc per svolgere le attività previste. Al termine dell’anno l’obiettivo trasversale dei docenti è che gli alunni sappiano lavorare sia autonomamente da soli, sia e assieme ai compagni.
Ciò che salta più all’occhio sono i bambini che si muovono su e giù per la scuola, bevono l’acqua dal rubinetto del lavandino, aiutano il cuoco a preparare la tavola, studiano in coppia seduti sulle scale. Non mancano quelli che si spostano a bordo di uno skateboard o di un monopattino… eppure non c’è caos, non c’è confusione. La sensazione insomma è di essere in un unico grande appartamento, nel quale vive una grande famiglia. Ma dietro a questa organizzazione che ci mostra degli aspetti per certi versi ”affascinanti” ci sono ragioni e strategia pedagogiche che giustificano un tale equilibrio sia sul piano educativo che su quello sociale.
Di Giuseppe Moscato e Leonardo Tosi
Foto Hellerup Skole (credit G. Moscato)
Un modello che ha preso forma e si è materialmente realizzato secondo le parole chiave collaborare e individualizzare
Type: Studio di caso
Ørestad Gymnasium: una scuola senza carta
Cosa può succedere se oggi un comune ricco del Nord Europa decide di costruire, in una zona degradata, una moderna Smart City con abitazioni, sedi commerciali, centri per l’istruzione e la formazione? E se il comune decide di edificare una nuova scuola che possa fungere da motore formativo e culturale per l’intera zona? Che caratteristiche dovrebbe avere questa scuola del terzo millennio per supportare una didattica moderna che sappia fare un uso efficace delle nuove tecnologie?
Queste sono le premesse di quanto è successo in un’area vicino a Copenhagen dove è sorta una scuola secondaria di secondo grado nell’ambito del più ampio progetto di sviluppo di Orestad City. Orestad Gymnasium è il nome della scuola. È un istituto voluto dal comune di Copenhagen per dare un impulso concreto alla recente riforma della scuola secondaria in Danimarca e offrire servizi scolastici moderni all’utenza del territorio.
L’idea della progettazione degli ambienti didattici è partita ponendosi la domanda: come si può garantire che i giovani siano messi in grado di divenire protagonisti attivi dei propri percorsi di apprendimento e fare in modo che i docenti abbandonino la vecchia cara lezione frontale a favore della costruzione di percorsi didattici centrati sullo studente? Semplice: si realizzano ambienti di apprendimento che “costringono” i docenti a progettare diversamente le attività didattiche e i ragazzi a svolgere un ruolo attivo per tutta la durata delle lezioni. Niente più lunghe mattinate di spiegazioni o pomeriggi interminabili di studio solitario sui libri.
La scuola offre ambienti polifunzionali in cui gli studenti possono stare mattina e pomeriggio in continuità, lavorando in gruppi, rilassandosi di tanto in tanto su grandi cuscini e puff, partecipando a eventi che coinvolgono l’intera comunità scolastica negli ambienti dell’agorà, usando le opportunità della scuola la sera o nel weekend.
In una scuola fatta da aule aperte, isole di tavoli per i ragazzi, palchi e gradinate, il docente non può più affidarsi solo alle capacità espositive e ai metodi di verifica tradizionali, ma deve progettare attività didattiche in cui gli alunni possano lavorare su percorsi individualizzati e allo stesso tempo collaborativi. Per fare un esempio banale: sarebbe impossibile spiegare o interrogare a voce alta quando il docente deve fare lezione nello spazio aperto o nella zona con postazioni ad isole, per cui l’attività va organizzata in modo e nell spazio adeguati. La Danimarca è stata tra i primi paesi a integrare nella progettazione delle nuove scuole l’esigenza degli studenti di intervallare fasi di attività e studio con momenti di relax e movimento fisico. L’Orestad Gymnasium, in particolare, è frequentato da studenti dell’età tra i 16 e i 19 anni, una fascia di età che risponde a queste esigenze in modo inequivocabile.
È uno spaccato concreto della scuola che guarda al futuro, alla ricerca di un modello didattico non solo basato sull’innovazione tecnologica, ma anche e soprattutto sull’organizzazione dello spazio fisico. «Nella mia scuola precedente l’edificio era orrendo, sembrava un vecchio ospedale, non c’erano posti per tutti e c’erano migliaia di libri», sono le parole di una studentessa che sottolinea l’importanza dello spazio come condizione che può favorire opportunità diverse di studio. Ecco allora che la classe può essere solo un aspetto della vita scolastica, perché ce ne sono molti altri che possono contribuire alla creazione di un clima positivo sia per chi studia e sia per chi insegna.
Ma vediamo in breve più da vicino quali sono le principali caratteristiche architettoniche che contraddistinguono l’Orestad Gymnasium: nel piano terra oltre agli uffici amministrativi si trovano l’area mensa e la palestra. La palestra diventa area multifunzionale grazie alle pareti interne scorrevoli che permettono di suddividere lo spazio in più aree. In questo modo possono essere svolte diverse tipologie di attività: i tavoli della mensa per studiare in gruppo al di fuori degli orari di lezione e la palestra per organizzare la simulazione di prove d’esame. Anche gli uffici amministrativi aperti e senza divisori appartengono alla visibilità dell’insieme delle varie figure che compongono la scuola.
Attraverso la vista della panoramica dall’alto si comprende la continuità tra ambienti chiusi e aperti, tra ambienti formali ed informali, con il ruolo centrale della scala che diventa luogo di incontro e, perché no, anche un posto dove muoversi: il passamano, studiato per essere uno scivolo in tutta sicurezza, è qualcosa di geniale e semplice allo stesso tempo.
Anche la luce naturale filtrata dal soffitto denota che nulla è lasciato al caso. Il concetto di una scuola che diventa luogo abitabile nella sua totalità, di condivisione sociale oltre che essere lo spazio dove studiare: «Gli studenti che vogliono lavorare su un particolare progetto, suonare, produrre video e utilizzare gli studi e l’attrezzatura della scuola. Possono richiedere una tessera d’entrata e usare gli ambienti della scuola durante il weekend», così racconta il preside per rendere meglio l’idea di questo concetto. Una scuola che non è fatta solo di aule si propone come luogo, dove l’idea di “apprendimento” sfocia verso l’esperienza della condivisione delle conoscenze attraverso progetti che gli stessi studenti elaborano. Per questo è importante che accanto allo spazio formale (il laboratorio, la classe) ci sia uno spazio informale (i cuscini, i tavoli della mensa, la scala come punti di incontro spontanei e naturali).
Accanto a questi aspetti innovativi, tutti tesi a favorire la libertà di movimento all’interno di una dimensione attiva e costruttiva, ci sono quelli collegati all’uso delle tecnologie, anch’esse perfettamente integrate in questa visione estremamente organizzata, ma che lascia allo stesso tempo spazio al confronto e a istanze di socializzazione positive. «Non riesco ad immaginare un’architettura come quella di questa scuola, senza una solida infrastruttura tecnologica».
Un altro dei concetti espressi dal preside per spiegare che tanto spazio senza connessione diventerebbe inutile. Gli studenti possono studiare, incontrarsi si, ma devono essere pure informati e connessi sulle iniziative dei docenti, le lezioni, le esercitazioni, i gruppi di lavoro.
Tutte dinamiche non praticabili in una scuola tradizionale (spazi ristretti e senza tecnologie connesse fra loro) o almeno lo sono solo in parte e all’interno dell’unico (o quasi) spazio, ossia l’aula. Ci sono postazioni di computer messi a disposizione dei singoli studenti. Tutte le aule hanno una parete trasparente (qualcosa di simile al vetro) e fuori, in prossimità sono sistemati alcuni tavoli per i lavori di gruppo. Un professore ci spiega come ha organizzato la sua lezione: «Ho iniziato in modo piuttosto tradizionale. Nella prima mezz’ora ho spiegato ai ragazzi quello che dovevano studiare, poi li ho mandati fuori nell’area dei gruppi dove dovevano discutere su alcune questioni legate al testo».
Fuori, i ragazzi hanno lavorato in gruppo con i tablet e con i loro portatili e il professore tra i tavoli supportava gli studenti. Poi di nuovo in classe per condividere e verificare il lavoro svolto fuori attraverso un video proiettore connesso al tablet. La scuola è fornita di Learning Management System attraverso il quale il docente condivide con gli studenti il piano dei contenuti e gli aspetti organizzativi legati agli spazi e ai tempi. L’infrastruttura tecnologica, banda larga e sistema cloud è in continuo aggiornamento.
Il progetto principale in corso è la costruzione di e-textbook con gli studenti. È necessario creare percorsi di studio personalizzati e modificabili. Il preside conclude così: «I testi per gli esami orali di questa estate saranno scritti dalla classe stessa, ovviamente sotto la guida dei docenti. Gli studenti scrivono di volta in volta i vari capitoli del libro di testo e alla fine avranno scritto il libro di testo per gli esami».
Di Giuseppe Moscato e Leonardo Tosi
Foto Ørestad Gymnasium (credit G. Moscato)
Un luogo abitabile nella sua totalità, che crea occasioni di apprendimento
Type: Studio di caso
INNOSCHOOL: il progetto finlandese per la scuola del futuro
Per immaginare la scuola del futuro, in Finlandia, è stato recentemente ultimato un ambizioso progetto: InnoSchool. Esplorando il tema da molteplici punti di vista, InnoSchool si è posto l’obiettivo di definire non un modello, ma un concept innovativo aperto e flessibile che contenga gli elementi chiave in grado di guidare verso la scuola del 21° secolo. Nella main page di Innoschool – alla sezione Material – sono scaricabili diversi documenti, tra cui i video del seminario finale di presentazione, il sommario conclusivo del lavoro (Innoschool, the innovative School Concept for the Future 2007-2008, 2008-2010) e la corposa lista delle pubblicazioni relative alla seconda fase.
Le domande che a monte hanno orientato la ricerca attengono alla definizione di principi, tipologie, processi e pratiche in grado di far diventare la scuola un sistema a evoluzione permanente. Il lavoro è stato diviso in quattro filoni: architetture, innovazione pedagogica, elementi ludici e servizi di assistenza, con l’obiettivo di definire dei concept ad alto contenuto innovativo sia rispetto alle quattro aree sia rispetto alle loro combinazioni interdisciplinari.
I quattro rami del progetto
Le grandi macroaree sono:
- InnoEdu, Education with Innovation, dedicata all’analisi degli aspetti educativi e didattici, dell’uso delle nuove tecnologie e della loro integrazione nella didattica.
- InnoArch, rivolta a immaginare le forme più interessanti in cui possono evolvere gli ambienti di apprendimento.
- InnoPlay, dedicata ai processi di educazione e apprendimento che si svolgono attraverso il gioco.
- InnoServe, indirizzata ad approfondire le tematiche legate ai servizi di sostegno e alla loro interazione con i processi dell’insegnare e dell’apprendere, e sostenuta dal Dipartimento di Computer Science and Engineering SimLab della Helsinki University of Tecnology.
InnoEdu ha esaminato le possibili evoluzioni dei processi educativi di cui saranno protagonisti docenti e studenti nella scuola del futuro, a partire dalla considerazione che le dinamiche dell’apprendimento potranno interessare ambienti sia fisici che virtuali e comprendere processi sia formali che informali. Il focus del progetto è stato dunque quello di individuare forme e strutture delle interfacce tra educazione formale e apprendimenti informali, e di integrare con l’istruzione formalizzata le competenze acquisite degli studenti in ambienti virtuali e con modalità informali, dal momento che il curriculum del futuro avrà la necessità di allinearsi con tutti gli aspetti dei processi di apprendimento, svolgendo un ruolo di mediatore tra scuola e società.
InnoPlay ha avuto l’obiettivo di sottolineare l’apporto e il grande potenziale che può venire alla scuola del futuro dai PLEs (Playful Learning Environments): ambienti dove l’apprendimento è basato sul gioco, la fisicità, la creatività e la co-creazione.
Il focus del progetto è stato quello di introdurre i PLEs – anche arricchiti dalla tecnologia – nel concept della scuola del futuro, analizzando come questi possano essere utilizzati nell’apprendimento curricolare, e quali fattori ne influenzino e ottimizzino l’uso. Il progetto ha compreso studi interculturali e ricerche sul campo in scuole di diversi paesi, analisi di metodi di lavoro e di attività ludiche, fino all’elaborazione di soluzioni per arricchire l’insegnamento d’aula e collegare l’apprendimento al gioco.
InnoPlay ha approfondito le integrazioni tra ambiente virtuale, fisico e sociale al fine di creare ambienti capaci di attraversare aule, scuole e territorio e di sviluppare modelli integrati e curricoli che sostengano l’apprendimento continuo e “a misura della vita” (life-long and life-wide learning).
InnoArch: con questo nome è stata definita la parte del progetto dedicata allo studio degli spazi per l’apprendimento, dalla classe, all’edificio scolastico fino al quartiere. Nella pagina del sito dedicata alla ricerca sono illustrate le domande chiave che hanno guidato il progetto.
Nel concept di Innoschool l’apprendimento non è più confinato all’aula e nemmeno all’edificio scuola: uno dei risultati di questo approccio, più volte citato nelle ricerche di InnoEdu e di Innoarch è il concetto di learning neighbourhoods: distretti per l’apprendimento. La scuola del futuro si estende agli out of school learning contexts per diventare il fulcro di una rete di servizi e processi aperta al quartiere e alla comunità. Il tempo dell’apprendimento diventa un tempo continuo, dove la scuola connette reti e risorse.
L’approccio globale e sfaccettato di Innoarch vede le scuole divenire nodi che integrano risorse e reti (integrators of learning resources and networks) e generano piattaforme per l’apprendimento globale (platfoms for life-wide and life-long learning) mentre gli spazi diventano un insieme complesso (multifaceted learning environments).
Innoarch ha quindi sviluppato opportuni strumenti di progettazione per gli ambienti della scuola del futuro: un insieme di buone pratiche, processi e modelli dove il primo step è conoscere a fondo le relazioni tra ambiente fisico e processo di apprendimento, e il secondo è sviluppare un processo collaborativo e basato sulla ricerca.
Per la valutazione degli ambienti indoor sono state sviluppate griglie di ricerca capaci di incrociare dati rilevati nell’analisi funzionale e della fruibilità, con aspetti attinenti alla dimensione sensoriale ed emozionale. Questi stessi aspetti sono stati utilizzati per la mappatura e valutazione degli ambienti esterni, dal giardino scolastico ai percorsi casa-scuola, fino all’intero quartiere, che è entrato nella ricerca sia come termine di confronto, sia come soggetto attivo di processi di appartenenza e partecipazione.
Le scuole-pilota coinvolte nel progetto hanno partecipato in dettaglio a tutte le fasi degli studi, attraverso incontri di lavoro per ragazzi e adulti , video-analisi, questionari, interviste: nella Arabia School di Helsinki ad esempio, è stato condotto uno studio sulla relazione tra apprendimenti informali e uso degli spazi, attraverso mappature e video osservazioni.
Tra i materiali in lingua inglese, dalla pagina di Innoarch, sono scaricabili diverse presentazioni del progetto, tra cui una tenuta a Roma nel 2008.
Uno dei temi che hanno suscitato maggiore interesse è lo studio di come i processi TSL (teching, studing, learning) possano essere iscritti in una sequenza che va dall’edificio–scuola al territorio, e quindi dall’aula al quartiere, fino allo spazio virtuale. La presentazione è Mediating Places and Spaces descrive le domande che hanno orientato la ricerca, insieme ad uno studio sugli apprendimenti informali nella classe e ad un lavoro dove i ragazzi, con il proprio telefono mobile, hanno esplorato il territorio intorno alla scuola.
Un altro tema di grande interesse è esposto su Usability of contemporary finnish schools, che descrive come i luoghi possano mediare i momenti di apprendimento formale e informale se, ad esempio, lo spazio di raccordo è arricchito da angoli accoglienti allestiti con sedute morbide e piante verdi dove si possa lavorare con il proprio laptop, o se una delle pareti diventa una bacheca trasparente. Occasione per mettere in pratica le ricerche di Innoschool è stata la collaborazione al progetto dell’Opinmaki school campus, un centro innovativo che oltre a due istituti comprenderà aree di aggregazione per tutte le età, proponendosi come una nuova tipologia di spazio per l’apprendimento, basato sul concept dell’ inquiry-based learning. L’ultimazione del progetto, assegnato tramite concorso internazionale, è prevista per il 2013. La presentazione Collaborative Planning and Design Constructing Children’s Epistemic Agency mostra come Innoarch abbia collaborato allo sviluppo del progetto dell’Opinmaki school, descrivendo i workshops svolti con i ragazzi sul rapporto tra spazio personale e spazio di apprendimento, sulle modalità con cui gli spazi possono essere assemblati, sulle caratteristiche dei laboratori e degli ambienti comuni. I risultati sono stati poi analizzati in una tesi di specializzazione, di cui è scaricabile un estratto in lingua inglese: Future School Designing With Children.
Gli elementi emersi sono stati combinati con una panoramica internazionale sulle più attuali ricerche sul tema: il risultato è stata l’individuazione di 5 tipologie di edificio scolastico, che rappresentano la combinazione tridimensionale e la cristallizzazione dei temi emergenti. Ogni tipologia è illustrata anche tramite schemi, suggestioni per gli interni e idee sull’aggregazione finale dei volumi. L’insieme presenta alcuni temi-chiave e alcuni orientamenti utili a definire la scuola del futuro, come la flessibilità, la realizzazione di spazi personali e di incontro, la presenza nell’insieme di ambienti più piccoli; ad esempio, tra i modelli elaborati, alcuni enfatizzano i raggruppamenti secondari e la divisione dell’intera massa dell’edificio in aggregati minori, ognuno con una sua forma e individualità (clusters). La prima tipologia è la Piazza – (in italiano nel testo originale) contiene un esplicito riferimento alle esperienze di Reggio Children. Propone un modello ispirato a tipologie urbane dove la “Piazza” rappresenta il cuore ampio e luminoso dello spazio interno intorno a cui si assemblano e distribuiscono gli altri spazi. La seconda tipologia è quella del Roof Garden (giardino pensile) e sottolinea sia la necessità di considerare spazi usualmente poco utilizzati, sia l’importanza delle aree ricreative e informali. Nella terza tipologia gli spazi sono aggregati intorno ad un centro formato da un porticato affacciato verso una corte interna a cielo aperto. Il nome deriva dall’architettura della Grecia classica. È evidente la volontà di stabilire una forte connessione con lo spazio esterno, rappresentata in particolare dal porticato che, se dotato di vetrate apribili, funziona come spazio protetto circondato da una corte. L’abbondanza di luce e aria e la percezione continua della presenza della natura con il variare delle stagioni rappresentano i punti forti di questa proposta. La quarta tipologia è definita Series of Atrium ed è formata da una serie di corti protette aperte su un lato. L’edificio dovrebbe articolarsi secondo forme preferibilmente organiche mentre ogni ala dovrebbe staccarsi dal corpo principale per dare vita alle insenature delle corti. Ogni sottoinsieme può essere concepito come spazio indipendente, anche semi-aperto, che aggregandosi permette di creare spazi diversi sia per altezza, dimensioni e luminosità, che per quantità di collegamenti, riservatezza, intimità. Nella quinta tipologia – Heart, Bridge & Clusters – le parti comuni dell’edificio sono raggruppate in un corpo centrale che contiene la hall, la cafeteria, la biblioteca e gli ambienti di incontro. Gli altri spazi – divisi in raggruppamenti (clusters) – sono distesi intorno a questo centro e a esso raccordati tramite ponti (bridges of learning). Il raggruppamento in diversi clusters permette di creare molteplici soluzioni anche in merito al rapporto con l’esterno.
Formato nel 2007 dalla Helsinki University of Tecnology insieme all’University of Helsinki e all’Università della Lapponia, l’InnoSchool Consortium ha coinvolto, oltre a varie fondazioni, sponsor e altri partners, tra cui due università statunitensi. Al progetto hanno collaborato diversi istituti finlandesi (tra cui sei a Helsinki e tre nella città di Rovaniemi) come istituti “pilota” per ricerche, test e valutazioni, a cui si sono aggiunti altri istituti all’estero.
Le immagini sono tratte dai materiali presenti sul sito di Innoschool.
Di Maria Grazia Mura
Sitografia
Riferiemto principale del progetto è la prof.ssa Leena Krokfors
- Innoschool: http://innoschool.tkk.fi/
- Innoedu: http://innoschool.tkk.fi/innoedu/
- Innoarch: http://innoschool.tkk.fi/innoarch/
Dallo Spazio-Aula ai Learning Neighbourhoods
Type: Studio di caso
La progettazione di una cl@sse 2.0 a Villadossola: un percorso di ricerca-azione
La didattica e il contesto
L’intervento alla scuola secondaria di Villadossola è nato dalla volontà degli insegnanti di avere a disposizione un ambiente rinnovato, rispondente alle esigenze della didattica 2.0 all’interno del Progetto Cl@ssi2.0, che valorizza l’attuazione di più modelli di innovazione didattica che possano generare buone pratiche d’utilizzo delle tecnologie.
Il legame tra didattica e contesto impone infatti che lo sviluppo delle nuove modalità di apprendimento proceda di pari passo con la configurazione di spazi innovativi.
Tra le molte voci che sostengono la necessità del rinnovamento nel settore degli spazi dell’apprendimento, una delle più autorevoli è quella di H. Hertzberger, maestro dell’architettura europea contemporanea e progettista di edifici scolastici esemplari, che con forza invita ad abbandonare i vecchi e rigidi schemi a favore di more varied, more changeable and, most of all, more open space forms.
Dare una forma spaziale alle nuove idee sull’educazione è un compito complesso – continua Hertzberger – e richiede anche l’interpretazione di alcuni fattori socio-culturali che determinano la realtà della scuola di oggi, come la presenza di ragazzi di diverse origini culturali o l’introduzione delle nuove tecnologie. Tutto ciò deve spingere alla realizzazione di spazi che stimolino la ricerca, la curiosità ed il confronto, dove i processi dell’apprendimento non saranno più ristretti alla classe ma investiranno l’intero spazio dell’edificio (Learning is no longer restricted by the classroom walls but will claim the entire space of the building).
In quest’opera di trasformazione un ruolo fondamentale spetta alle nuove tecnologie, non solo perchè offrono strumenti utilizzabili nelle varie attività, ma anche perché hanno favorito l’instaurarsi di un nuovo clima comunicativo globale, che ha ”modificato in maniera profonda alcuni aspetti legati alle relazioni comunicative individuali e di gruppo.”
Questa proposta di riconfigurazione di una classe 2.0 per la scuola secondaria si inserisce quindi nella più ampia sperimentazione di nuovi contesti, nel passaggio è da ambienti pensati per insegnare ad ambienti per apprendere.
Spazio e modalità di apprendimento
Le nuove modalità di apprendimento richiedono molteplici configurazioni, realizzabili grazie all’opportuna gestione di allestimenti e arredi. Per fare solo qualche esempio l’apprendimento one-to-one è attuabile con un tavolo in posizione defilata, le attività di piccolo gruppo possono essere risolte con tavoli a 4 posti, mentre per una discussione collettiva è adatta una configurazione comunicativa a cerchio. Gli ambienti complessi e articolati così ottenibili permettono di seguire i diversi tempi individuali di apprendimento e consentono l’esecuzione di attività diverse in contemporanea.
A rafforzare questa necessità è anche il riferimento alla teoria di H. Gardner sulle intelligenze multiple (MI) che, se applicata alla definizione degli ambienti di apprendimento, presenta ricadute molto significative.
Nello studio di Nair, Prakash, Lackney (2009) è riportata una tabella che compara le MI (Intelligenze Multiple) con le tipologie di spazi realizzabili negli edifici scolastici, mettendo in relazione, ad esempio, la presenza di gradinate e angoli di incontro con lo sviluppo dell’intelligenza interpersonale, di nicchie con l’intelligenza intrapersonale, di piazze interne con quella cinestesico-corporea; mentre lo sviluppo delle intelligenze linguistica e logico-matematica si può avvalere di molteplici configurazioni comunicative rese possibili dalla flessibilità e articolazione degli spazi.
Hertzberger spiega efficacemente che lo spazio dell’apprendimento deve contenere un equilibrio tra le condizioni di connessione e le condizioni di concentrazione (‘Finding a balance between conditions for concentrating and conditions for connectedness‘): lasciare vivo il senso di appartenere ad una grande comunità e offrire nicchie e angoli che permettano di svolgere attività individuali o di gruppo.
Seguendo queste considerazioni si arriva a sviluppi estremamente significativi: a questo punto infatti si dissolve la differenza tra aula e spazio di raccordo: tutto l’edificio è spazio di apprendimento, articolato in aree più o meno ampie dove differenze di livello, scalinate, pareti divisorie o ballatoi, formano zone diversamente configurate e separate in modo più fluido o più deciso: un learning lanscape capace di assorbire le differenze e adattarsi ai cambiamenti.
Nel ripensare gli spazi dell’apprendimento, come ricorda A. Biamonti, assume centralità il ruolo dei Sistemi Ambientali ovvero quell’insieme composto da arredi, impianti e tecnologie, componenti per la comunicazione e l’informazione che è interfaccia diretto tra gli utenti e l’uso che degli spazi viene fatto. I Sistemi Ambientali corrispondono ad un’attività di trasformazione degli spazi interni realizzata ”mediante allestimenti ri-configurabili capaci di rispondere a nuove necessità funzionali e di comunicazione.
Più che un ambiente dove trovano posto le ICT, si tratta di un ambiente dove queste hanno un ruolo centrale, è il livello ottimale dove pensare di sperimentarne l’introduzione. In piena collaborazione con le nuove tecnologie, i luoghi deputati alla conoscenza diventerebbero ambienti più permeabili, attivatori relazionali aperti alla società che ci circonda, sia realmente, che virtualmente”.
Spazio e vivibilità
Per la progettazione del benessere è essenziale l’attenzione verso gli elementi che compongono quello stesso livello intermedio tra l’architettura e chi la usa, già citato a proposito delle necessità funzionali e di comunicazione: luce naturale, luce artificiale, colore, acustica, rivestimenti, ecc. Anche nel caso che si debba intervenire in strutture architettoniche che presentino forti limitazioni, attraverso questi elementi è possibile realizzare spazi innovativi e vivibili.
L’ambiente ospitale è capace di sostenere la socialità, perché permette l’esistenza dello spazio individuale e allo stesso tempo si rende vivibile in molteplici modalità, anche informali e spontanee.
Nair, Prakash e Lackney (2009) tra i 28 pattern che dovrebbero guidare la progettazione della scuola del 21° secolo, inseriscono anche la presenza di spazi e contenitori individuali (Home Base and Individual Storage), angoli per mangiare e stare in relax in modo informale (Casual Eating Areas), sedute morbide e accoglienti (Furniture: Soft Seating). Questo significa ad esempio consentire una certa varietà di movimento e di posture (al tavolo, seduti in terra, in piedi, ecc.) ovvero creare un ambiente dove sia possibile vivere, lavorare e concentrarsi utilizzando il corpo in modi diversi, come ad esempio leggere o lavorare seduti su un tappeto o accovacciati su un gradino.
L’ambiente accogliente è anche carico di attenzione verso la sfera relazionale e affettiva, come afferma Lucien Kroll, architetto belga autore di importanti esempi di edifici scolastici: ”Dare una personalità ai luoghi educativi non vuol dire renderli funzionali, vuol dire poetizzare gli spazi, le immagini, i rapporti”. La visione di Kroll, poetica e libertaria, ripensa gli ambienti dell’educazione chiedendo loro di saper comunicare con le persone. Abitare un luogo è anche la scuola quindi un’emozione che non può essere ridotta a un insieme di funzioni, né risolta come uno schema di esigenze quantificabili.
Un altro elemento da tenere in considerazione è la capacità dello spazio di riflettere l’identità dei propri abitanti, di contenere le tracce del lavoro dei ragazzi. Le impronte di personalizzazione dello spazio rafforzano l’identità del gruppo ed il senso di appartenenza. A questo scopo sono utili anche pannelli e allestimenti collocabili all’ingresso o nello spazio di raccordo.
Una classe 2.0 a Villadossola
Le considerazioni già accennate rappresentano alcuni dei criteri che hanno guidato la prima fase del percorso di ricerca-azione: la progettazione dei nuovi spazi realizzata con gli insegnanti. Nella seconda fase – all’interno del nuovo setting creato – verranno testate nuove modalità e percorsi didattici, mentre la terza fase rappresenterà il momento della verifica.
Il lavoro si è orientato seguendo due valutazioni fondamentali: le esigenze legate alle nuove modalità di apprendimento e le esigenze legate all’ospitalità e vivibilità dell’ambiente.
L’area con i tavoli aggregabili
L’aula da rinnovare era uno spazio di circa 58 mq destinato ad una classe di prima media di 23 ragazzi, con un attiguo ripostiglio, già dotata di una LIM sistemata nella parete accanto alla porta d’ingresso. Lo spazio è stato diviso in tre parti creando, oltre all’ampia zona destinata al lavoro con tavoli aggregabili, due ambienti più piccoli a fondo aula che ospitano rispettivamente l’area morbida ed un angolo di lavoro.
L’insieme dell’aula doveva risultare un ambiente flessibile e aperto, autonomamente gestibile dai ragazzi. Era necessario quindi far sì che i tavoli svolgessero solo la funzione di piani di lavoro diversamente aggregabili, eliminando sia l’uso del banco come posto personale fisso, sia l’uso del sottopiano come contenitore per gli oggetti individuali.
Abbiamo così ideato un casellario porta-zaini a doppio vano, dove ogni alunno ha a disposizione due caselle personali: la prima sufficientemente ampia da contenere lo zaino, l’altra più piccola per avere a portata di mano i materiali che ogni giorno vengono utilizzati. La doppia casella, che permette di rendere libero per il lavoro il piano dei tavoli è diventata così lo spazio personale all’interno dell’aula, sostituendo il banco-contenitore che rimanda a disposizioni spazialmente rigide.
L’insieme dei posti di lavoro doveva inoltre essere capace di supportare diverse configurazioni: si è optato quindi per tavoli singoli, più facili da maneggiare e più adatti a dare vita ad aggregazioni con un numero variabile di postazioni. Per una più agevole manovrabilità alla struttura metallica di colore azzurro sono state applicate 2 ruote dotate di freno: in questo modo gli stessi ragazzi all’inizio di ogni sessione di lavoro possono disporre l’allestimento più adatto.
L’area permette diverse configurazioni: a ferro di cavallo (per discussioni guidate dal docente) a gruppi di 4 (per lavori in piccoli gruppi), a gruppi di 8 (per lavori in gruppi grandi), a cerchio (per discussioni collettive) e naturalmente a cinema (per lezione frontale).
Anche la dotazione tecnologica doveva accordarsi con la massima flessibilità di aggregazione: oltre alla LIM è già esistente – si è deciso di dotare l’aula di computer portatili, in modo da offrire ad ogni ragazzo la possibilità di lavorare da qualsiasi posizione. Per riporre e ricaricare i portatili sono stati acquistati appositi carrelli su ruote.
L’area morbida
Per realizzare un ambiente davvero vivibile e completare l’offerta di possibilità aggregative abbiamo ritenuto indispensabile inserire in aula un’area morbida, formata da divanetti dotati di struttura in legno al naturale e cuscini imbottiti lavabili di colore azzurro, a cui si aggiungono al bisogno una serie di sedute mobili.
Molto amata dai ragazzi, questa area svolge in generale due tipi di funzioni: permette momenti informali di sosta e distacco dal lavoro collettivo, e offre un ambiente adatto ad attività di apprendimento non al tavolo, come ad esempio discussioni di gruppo, storytelling, drammatizzazione o performance learning.
Dagli insegnanti è infatti venuta l’idea di integrare i divani con un insieme di sedute formate da parallelepipedi in espanso, morbidi e facilmente posizionabili a piacimento, rivestiti in materiale lavabile. In questo modo è possibile espandere questa zona dell’aula per renderla adatta a più attività, con disposizioni libere, ad esempio, a piccolo o grande cerchio.
L’angolo di lavoro
L’angolo di lavoro è situato in fondo alla classe – offre un punto riservato e adatto alla concentrazione, dove svolgere attività individuali o a coppie (one-to-one con il docente, peer tutoring, ecc). è sistemato in un’area defilata, segnato da una luce d’accento applicata al muro e separato dal resto dell’aula da un mobile alto posto di taglio. Il piano semitondo permette una buona accostabilità al muro ed essendo privo di sporgenze verso l’esterno, non presenta ostacoli nel rapportarsi al resto dello spazio.
La pannellistica e il trattamento delle pareti
Sia dal punto di vista dell’uso didattico, sia dal punto di vista della vivibilità dell’ambiente, è fondamentale anche la sistemazione delle pareti, il luogo dove più si esprimono i vissuti della scuola. Occorrono attenzione ed una logica di fondo per pianificare l’insieme, che altrimenti rischia di vivere una sorta di vita propria, sfuggendo al controllo e trasmettendo un senso di confusione che fa perdere significato alle cose esposte.
Per consentire la sistemazione della cartellonistica e mantenere ordine e concentrazione sono state quindi create 3 zone espositive formate ognuna da un doppio pannello legno-sughero, e distribuite su due pareti dell’aula. L’ambiente è reso più accogliente dalla nuova colorazione viola chiarissimo delle pareti è tinta adatta alla concentrazione e dal trattamento al naturale dei pannelli in legno. Il comfort acustico è stato migliorato creando sulla parte superiore delle pareti una fascia continua di rivestimento con pannelli in legno a doghe strette e sottili. Le superfici a texture vibrata, infatti, contribuiscono ad abbattere il rumore.
All’esterno di questa come delle altre aule è stato posto un ulteriore pannello che, arricchito dai ragazzi con disegni, biglietti e frasi, è diventato punto di curiosità tra le varie classi e di confronto tra le diverse attività.
Di Maria Grazia Mura
Bibliografia e sitografia
Hertzberger, Herman, Space and Learning, 010 Publishers, Rotterdam, 2008
Biondi, Giovanni, La scuola dopo le nuove tecnologie, Apogeo, Milano, 2007
Nair, Prakash, Fielding, Randall, Lackney, Jeffery, The Language of School Design, DesignShare.com, 2009, (2^ ediz.)
Gardner, Howard, Formae Mentis, Feltrinelli, 2009, (18^ ediz.)
Biamonti, Alessandro, Learning environments, Angeli, Milano, 2007
Contributo: Le potenzialità della LIM e il principio di convergenza: intervista a Roberto Baldascino
Esperienze europee: Future School
Esempio di alcune scuole secondarie realizzate in Olanda: www.ahh.nl; www.indire.it/aesse
Intervista ad Alessandro Biamonti: http://www.indire.it/content/index.php?action=read&id=1537
Sulla progettazione partecipata: http://www.bdp.it/aesse/content/index.php?action=read_school&id_m=3463
Foto
Herman Hertzberger, Marco Scarpinato – AutonomeForme: scuola elementare Romanina, Roma (2005 – 2012)
tratta da: http://www.domusweb.it/it/architettura/2012/09/21/la-scuola-come-metafora-del-mondo.html
Innovative learning environments for secondary schools
Type: Studio di caso
La Labyrinth school di Brno: una scuola aperta al territorio
Nell’ambito delle attività della struttura di ricerca “Architetture e arredi scolastici: progettare nuovi spazi educativi e adattare ambienti di apprendimento esistenti”, i ricercatori Indire stanno approfondendo alcune tematiche volte a osservare esempi di didattica innovativa strettamente correlata alla definizione di nuovi spazi di apprendimento centrati sullo studente e sulle nuove esigenze organizzative dell’ambiente scolastico.
Il caso della Labyrinth School di Brno, in Repubblica Ceca, presenta un contesto che sposa i principi dell’insegnamento di John Dewey, basato sull’idea che l’apprendimento passi attraverso l’esperienza pratica e che la comprensione dei concetti avvenga tramite l’azione e la percezione del mondo. Nell’ambito di questo processo il bambino è il punto di partenza: è a partire da i suoi interessi e dalle curiosità che viene costruita l’attività didattica.
In questa scuola i bambini non stanno seduti per cinque ore ad ascoltare la maestra o a fare esercitazioni. Alla Labyrinth school le parole chiave sono: movimento, personalizzazione, ambiente di apprendimento allargato. Il movimento è una componente chiave nei processi di acquisizione delle conoscenze e di maturazione delle competenze; se è vero che aiuta a tenere ossigenato il cervello, è anche sinonimo di didattica attiva che prende la forma di compiti di realtà, fondamentali per attivare forme di apprendimento significativo.
In questo video, che documenta lo studio di caso condotto dalle ricercatrici Indire Raffaella Carro ed Elena Mosa, si vede come la cura e l’attenzione siano elementi fondamentali per favorire un clima di benessere psicologico e cognitivo. Difficilmente, infatti, si apprende in situazioni di disagio.
Un ulteriore elemento fondamentale è, in tal senso, l’ambiente di apprendimento che si estende oltre le mura della scuola per andare a inglobare le strade, i negozi, i musei, i parchi della città di Brno, in pratica qualsiasi luogo sia funzionale ad attivare forme di apprendimento significativo. È infatti possibile andare al supermercato per acquistare la merenda e imparare la matematica oppure alcuni elementi base di cittadinanza, oppure fare un giro per strada e osservare i passanti per riflettere, successivamente in classe, su alcuni elementi che contraddistinguono la società contemporanea.
Quando i bambini tornano in classe non trovano un ambiente standardizzato con la cattedra di fronte ai banchi in file parallele, ma un luogo accogliente, colorato, flessibile, con angoli morbidi e zone diversificate per supportare attività diverse. Negli spazi della Labyrinth, collocati in diversi piani dell’edificio, è possibile riconoscere gli elementi cardine che hanno guidato la riflessione Indire nella creazione del Manifesto “1+4 spazi educativi per la scuola del terzo millennio”:
- L’agorà, un ambiente polifunzionale che viene usato prevalentemente come mensa, ma anche come zona di svago per grandi e piccini (grazie a un arredo in legno con cuscini e a uno scivolo corredato da libri) e come area di ritrovo assembleare;
- lo spazio di esplorazione, una zona “maker” dove i bambini lavorano con la carta, le forbici, i colori, l’argilla, i pupazzi, i tablet, il cartone e tutto quello che consente di montare e smontare oggetti fisici o digitali;
- i corridoi e la scale, che oltre alla funzione connettiva e di transito, sono zone adibite alla mostra dei lavori dei bambini, assolvendo anche la funzione “emotiva” dell’accoglienza e della proiezione del sé, per far parlare un luogo con i linguaggi di chi lo abita;
- gli spazi individuali e informali, entrambi assorbiti nelle aule;
- lo spazio di gruppo, ovvero la classe, nucleo centrale delle attività che si svolgono all’interno dell’edificio-scuola. Si tratta di spazi funzionali dove gli studenti si muovono con sicurezza e competenza, grazie alle norme tacite e al regolamento interno che le maestre concordano con gli studenti all’inizio dell’anno e che gli studenti non faticano a rispettare.
Queste considerazioni ci riportano al concetto di scuola come edificio strutturato in ambienti flessibili e polifunzionali, ma anche di scuola aperta al territorio circostante, pronta ad accogliere le molteplici opportunità di apprendimento che si presentano quotidianamente in situazioni reali. Come sosteneva la pedagogista Giuseppina Pizzigoni: «Scuola è il mondo. Maestro è ogni fatto naturale e ogni uomo. Non si insegni: si esperimenti».
Di Raffaella Carro ed Elena Mosa
Esempi di didattica innovativa correlata alla definizione di nuovi spazi di apprendimento
Type: Studio di caso
Oltre la scuola. La nostra visita all’Istituto Artigianelli di Trento
L’Istituto Pavoniano Artigianelli per le Arti Grafiche di Trento è una scuola secondaria superiore situata nel centro storico del capoluogo trentino.
Siamo stati accompagnati nella visita dell’istituto dal dirigente scolastico Erik Gadotti che, nel mostrarci gli ambienti di apprendimento, ci ha spiegato il progetto culturale ed educativo alla base della scuola. Il punto di partenza è rappresentato da tre esigenze principali: l’integrazione dei ragazzi con bisogni educativi speciali e con disabilità, l’integrazione delle eccellenze, l’avvio di una riflessione sulle modalità attraverso le quali la scuola può preparare gli studenti a professioni che ancora non esistono.
L’attività di ricerca che la scuola aveva in atto con il Dipartimento di Scienze Cognitive dell’Università di Trento aveva evidenziato la grande fatica che gli studenti con bisogni educativi speciali facevano all’interno dei percorsi disciplinari ordinari che si svolgevano prevalentemente in aule e spazi organizzati in modo tradizionale. Nel lungo periodo questa sofferenza si manifestava nella dipendenza sempre maggiore dello studente dall’insegnante di sostegno, nell’emergere di comportamenti problematici e nell’ulteriore abbassamento dell’autostima.
In sintesi, la proposta pedagogico-organizzativa che ne è scaturita si basa sulla destrutturazione della concezione di scuola, a partire dall’impianto disciplinare e dal concetto stesso di “classe”. La scelta è stata quella di formare gli studenti in difficoltà attraverso attività differenziate, in modo da far sperimentare loro il successo scolastico e immediatamente dopo integrarli in percorsi educativi strutturati nei quali potersi relazionare pienamente. In un’ottica di Universal Design (CAST, 2011; Savia, 2016), questa soluzione, efficace per i ragazzi più deboli, poteva però essere applicata a tutta la popolazione scolastica per favorirla nel percorso di apprendimento verso il successo formativo.
Da questo momento in poi, le discipline e l’ambiente-classe sono stati al centro di una profonda riflessione che ha portato a una loro destrutturazione. Ogni insegnamento è stato organizzato in moduli individuati in relazione alle competenze in uscita. Ogni modulo dura 3 mesi; i ragazzi, nel corso dei 3 trimestri, possono affrontarli tutti e tre oppure stare in ciascuno di essi il tempo necessario al raggiungimento delle competenze. Questo tipo di organizzazione offre a tutti gli studenti un percorso personalizzato che non “isola” i ragazzi con bisogni educativi speciali e con disabilità. Tutti possono frequentare più volte lo stesso modulo: gli studenti con bisogni educativi speciali e con disabilità possono così specializzarsi in un aspetto particolare di una disciplina, in modo da valorizzare le loro specificità e potendo anzi diventare un tutor per gli studenti che arrivano nel trimestre successivo. Naturalmente gli ambienti sono stati trasformati e ri-configurati per sostenere questa visione di scuola: l’organizzazione curricolare in moduli comporta una divisione della classe in gruppi. Il concetto di gruppo-classe, considerato come monade, viene completamente superato. I gruppi si spostano all’interno dello stesso ambiente, grazie a spazi flessibili e modulari. Sono presenti inoltre grandi open space che, grazie alla presenza di arredi flessibili, consentono a docenti e studenti di trasformare l’ambiente in relazione alle esigenze di insegnamento e apprendimento.
Ci sono inoltre molti altri ambienti pensati per la didattica che esulano dal concetto di aula tradizionale: dai laboratori professionali (come gli ambienti per la grafica e per la stampa) al bar della scuola, dagli open space che possono ospitare fino a 60 studenti, ai locali della cooperativa scolastica. Ciascuno di essi è un vero e proprio ambiente di apprendimento allestito per accogliere differenti attività didattiche. Ad esempio, alcuni studenti imparano la matematica gestendo il bilancio del bar, altri facendo il resto ai clienti, altri ancora si occupano della gestione contabile della cooperativa. In questo modo ogni studente dell’Istituto Artigianelli ha la possibilità di costruire il proprio percorso di apprendimento e di apertura al mondo secondo le proprie capacità, attitudini e peculiarità, all’interno di un ambiente pensato e progettato sui bisogni educativi (speciali e non) di ciascuno.
Il video, diretto da Giuseppe Moscato (Indire), documenta questo particolare progetto pedagogico che, partendo dal tema dell’inclusione dei ragazzi con bisogni educativi speciali e con disabilità, nel 2009 ha iniziato a ripensare spazi e curricolo.
Di Stefania Chipa e Lorenza Orlandini
(Foto archivio architetture scolastiche)
La scuola ha un progetto educativo e culturale ben preciso, pensato per includere anche gli studenti con bisogni educativi speciali
Type: Studio di caso